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Barbara Truzzi

Coaching & Canto Consapevole ®
Copia di BO_DMS01.jpg

Pubblicazioni

Siamo nati con un vagito.
E da quel giorno abbiamo fatto
sentire la nostra voce.

Il Canto Consapevole ci mostra la voce per ciò che è: uno strumento di evoluzione della coscienza. La voce è un mezzo naturale a disposizione di ognuno di noi spesso poco conosciuto in tutto il suo potenziale. Il suono può essere utilizzato quale chiave di lettura dell’intera esistenza da parte di chiunque sia pronto ad ascoltarsi. Il Canto Consapevole non è quindi un manuale di tecnica canora riservato esclusivamente a chi usa la voce per professione. Questo volume, che si presenta come un apparente dialogo tra un maestro e un allievo, è in realtà un incontro tra il Sé, depositario di conoscenza, e il ricercatore del benessere che ha deciso di utilizzare la voce quale strumento per evolvere nella comprensione di se stesso e dell’altro.

Questo libro non obbliga il lettore, ma gli consente di costruire la propria strada, scegliendo i temi d’interesse e quindi percorrendo traiettorie di lettura personale.

Personale è l’approccio che l’autrice intende adottare nella relazione di apprendimento. Nel QUI e ORA dell’esperienza didattica, l’allievo viene invitato innanzitutto a sentire. Sentire la propria voce, il proprio corpo nello spazio e la relazione che instaura con gli altri attraverso il canto. Riconoscere sé negli occhi dell’altro, nello sguardo che si instaura tra voci desideranti. Attraverso il sentire l’allievo avvia il proprio percorso di consapevolezza, di presa in carico dei suoi vissuti, dei suoi desideri, ma anche se è possibile di contatto con ansie e difese.

L’apprendimento della voce passa attraverso l’educazione all’ascolto. Questa pare essere una lezione fondamentale. Così come il comunicare non è solo parola, ma anche ascolto dell’altro, così il canto è capacità di condividere ritmo e intonazione. Il canto dunque ci pone il problema della qualità del nostro udire. [...]

[...] L’arte della comunicazione non è divisa da quella dell’ascolto e da qui si può dedurre come medico e paziente siano un tutt’uno interdipendente nel quale l’agire dell’uno influenza costantemente l’altro.

Pensieri e parole sono uno l’artefice dell’altro. L’uso esasperato del sapere accademico determina una comunicazione tecnica che difficilmente il paziente può assorbire nella giusta prospettiva poiché non detiene il livello appropriato di conoscenze specifiche. Si avrà quasi certamente un’elaborazione mentale per associazione e non per comprensione diretta di quanto è stato detto o diagnosticato. Più i termini utilizzati saranno difficili ed espressi da professori altisonanti con timbri vocali impostati per esprimere autorevolezza e più risulterà pesante per il paziente la digestione di una tale comunicazione. 

Parlo di digestione della comunicazione perché non dobbiamo mai dimenticare che qualsiasi scambio verbale viene interiorizzato diventando parte di noi e condizionando la nostra visione del mondo, di noi stessi e della vita.

Tutto questo si traduce inevitabilmente anche a livello cellulare. Si tenta di negarne l’ovvietà parlando con leggerezza di effetti psicosomatici, ma fintanto che continueremo ad analizzarci a settori e compartimenti stagni sarà difficile tornare a quella visione unitaria dalla quale ci siamo progressivamente allontanati.

Si tratta di compiere delle scelte audaci e spesso impopolari: andare a ritroso, ricercare l’essenza e da lì aprire occhi, orecchie e soprattutto dar voce all’anima.

Allora sì che il sapere specifico diventa un prezioso alleato a sostegno dell’azione terapeutica e a favore della crescita del paziente. [...]

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